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Un argentino come “guastafeste”

Il n.1 del tabellone sta confermando lo spettacolare stato di forma di questi mesi. “Vorrei continuare così, imparando a vincere anche quando gioco male. L’anno prossimo ci sono le Olimpiadi, mi piacerebbe giocarle…”

Scorrendo l’albo d’oro, si trovano tre argentini. Federico Coria è il campione in carica, poi in passato hanno vinto Federico Delbonis e Guido Pella, eroi del trionfo in Coppa Davis nel 2016. È proprio la Davis uno dei sogni di Facundo Diaz Acosta, uno dei nuovi esponenti di un Paese di grande tradizione, a caccia dei fasti di un tempo. Numero 115 ATP, è la testa di serie numero 1 ed è approdato in semifinale senza perdere un set. Nei quarti aveva un impegno delicato contro il muscolare Gauthier Onclin: non poteva che essere una partita fisica, fatta di scambi molto lunghi, peraltro con un game (il quarto del match) con la durata-record di 24 punti. L’ha vinto il 22enne belga, ma un paio d’ore dopo a festeggiare era il nativo di Buenos Aires, 23 anni da compiere in dicembre e reduce da una stagione spettacolare: fuori dai top-200 a inizio anno, ha dimezzato la sua classifica e potrebbe portarla a due cifre in tempi brevissimi. Dovesse vincere a Milano, facendo il tris dopo i successi a Savannah e Oeiras, dovrebbe attestarsi intorno al numero 96. “Contro Onclin è stata una partita molto fisica, inoltre ero piuttosto nervoso – ammette Diaz Acosta, vincitore col punteggio di 6-4 6-3 – c’erano umidità e un gran caldo, si sudava moltissimo. L’obiettivo era restare concentrato sulla partita e non su fattori esterni, oltre ad adottare la tattica giusta. Per fortuna sono rimasto concentrato nei momenti difficili, ho trovato il mio miglior tennis quando serviva e ne sono felice”. Vero, perché nel secondo set era in svantaggio 3-1 ma ha saputo vincere gli ultimi cinque game, sgretolando la resistenza di Onclin. E non era scontato. “Sto vivendo una bella stagione, ma non è che abbia fatto niente di diverso durante la preparazione – racconta – semplicemente sto crescendo e acquisendo esperienza. In questo modo, arriva il livello giusto e cresce la fiducia”. Quest’anno, l’argentino a effettuare i maggiori progressi è stato Tomas Etcheverry, quartofinalista al Roland Garros, un anno più grande di Diaz Acosta. Anche lui è transitato da questo tipo di tornei: quando chiediamo a Diaz Acosta se pensa di poter diventare il nuovo Etcheverry, fa un sospiro. Ci pensa un attimo, poi dice: “Sì… ma ognuno ha la sua crescita, il suo cammino. Con Tomas ci conosciamo sin da bambini, così come con Francisco Cerundolo e Sebastian Baez. Abbiamo giocato tanto insieme, quindi è possibile che mi senta più vicino al traguardo perché lui l’ha raggiunto, ma ognuno ha le sue difficoltà da superare”.

IL SOGNO OLIMPICO DI FACUNDO

Per riuscirci, Diaz Acosta si affida da dieci anni all’accademia di Mariano Monachesi e Mariano Hood, nel quartiere Nunez di Buenos Aires, a due passi dello stadio del River Plate. A Milano è accompagnato da Juan Manuel Tiscornia, uno dei coach dell’accademia, ma il contatto con la base è costante. Una volta, Hood disse che ogni tanto Diaz Acosta si dimentica di essere mancino, e quando accade diventa più debole. “Lavoriamo insieme da dieci anni, e in effetti è qualcosa su cui mi impegno da tempo – dice il bonaerense – sul piano tattico devo sfruttare il fatto di essere mancino, utilizzando molto il dritto e massimizzando il servizio”. Vedendolo giocare, in effetti, viene in mente proprio Guido Pella, vincitore a Milano sei anni fa e capace di ottenere grandi risultati nel circuito maggiore. “Beh, lui ha un gran rovescio, migliore del mio – si schernisce Diaz Acosta – io provo a comandare un po’ di più lo scambio e usare di più il dritto. Può essere un gioco simile, ma qualche differenza c’è. Una carriera come la sua? Lui è stato spettacolare, ma non so se firmerei: si spera sempre di fare il massimo. Tra l’altro sta rientrando, ha raggiunto il terzo turno a Wimbledon… diciamo che mi piacerebbe molto entrare tra i top-30”. Per riuscirci, tuttavia, dovrà giocare parecchi tornei sul cemento. Per adesso, quasi tutti suoi 548 punti ATP sono arrivati sulla terra battuta. “Nel circuito Challenger c’è una maggiore possibilità di scelta nella programmazione – racconta – oggi mi conviene privilegiare la terra battuta, perché in Argentina si gioca e ci si allena soprattutto sul rosso. Però posso giocare bene anche sul cemento: nei pochi tornei che ho giocato mi sono trovato bene. Ho lottato con Garin, ho perso al terzo con Hanfmann… se ci gioco un po’ di più posso sicuramente fare bene”. Quando si parla di obiettivi, Diaz Acosta parla da… proletario della racchetta, senza eccedere in voli pindarici: “Quest’anno vorrei mantenere questo livello, giocare tante partite e vincere anche giocando male. In fondo è la differenza con il 2022: l’anno scorso vincevo solo quando giocavo bene, ma una delle cose più importanti nel tennis è vincere anche quando non sei in giornata. Diciamo che vorrei andare avanti così e, se Dio vorrà, chiudere l’anno giocando i tornei ATP. Però sono sereno, non è qualcosa che mi toglie il sonno”. Facundo non riesce a staccare i piedi da terra nemmeno quando si parla di sogni: “Beh, io amo molto la Coppa Davis e giocare per l’Argentina…”. D’altra parte ha vinto l’argento alle Olimpiadi giovanili e l’oro ai Giochi Sudamericani, quindi ha già assaporato il peso della maglia albiceleste. “L’anno prossimo ci sono le Olimpiadi a Parigi. Ecco, arrivare a giocarle sarebbe davvero un bell’obiettivo…”

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