Milano è tra le città più importanti nella carriera di Thiago Agustin Tirante. Proprio all’ombra del Duomo ha giocato la sua prima finale di rilievo: quattro anni fa giunse in finale al Trofeo Bonfiglio, uno dei più importanti tornei Under 18. Adesso il 22enne di La Plata è di nuovo a Milano per l’ASPRIA Tennis Cup – Trofeo BCS (73.000€, terra battuta), che potrebbe dargli lo slancio decisivo per raggiungere i top-100 ATP, importante tappa di passaggio per raggiungere i sogni di un ex bambino che – come vedremo – è praticamente nato su un campo da tennis. Numero 132 ATP (sua miglior classifica) e quarta testa di serie, ha battuto – uno dopo l’altro – due azzurri che si allenano presso la stessa struttura, la MXP Tennis Academy, Mattia Bellucci e Federico Iannaccone. Contro il molisano non ha avuto problemi, un 6-3 6-0 maturato in poco più di un’ora. “Conoscevo Iannaccone, avevo fatto alcuni tornei junior e ITF con lui, ma era da un po’ che non lo vedevo – racconta Tirante – sapevo che, se avessi giocato bene, per lui sarebbe stato difficile fare le cose a modo suo. È stata un’ottima partita, in cui sono migliorato game dopo game”. Pur avendo scarsa esperienza nel circuito maggiore, Tirante è convinto di essere pronto al salto di qualità. “Credo di essere molto vicino al circuito ATP, sia come ranking che come livello di gioco. Posso competere ai massimi livelli, come ho già dimostrato a Parigi passando le qualificazioni e battendo un top-30 come Van de Zandschulp. Se continuo a migliorare giorno dopo giorno, sul breve termine penso di poter giocare i tornei ATP. Ma non mi limiterò a partecipare, voglio anche vincere più partite possibili”.
POCHI SOLDI MA ZERO DEBITI
Classe 2001, Tirante è praticamente nato su un campo da tennis. E pensare che nessuno, in famiglia, ne era appassionato. Soltanto le zie Vanesa e Valeria, che da giocatrici erano diventate insegnanti. “A un certo punto c’è stata la possibilità di comprare un circolo tennis con due campi privati e mio nonno l’ha acquistato – dice Tirante, alludendo al “Tenis La Cumbre” di La Plata – ma l’ha fatto per investimento, non perché gli piacesse il tennis. Le mie zie ne hanno approfittato per farci qualche lezione. Pensate, l’hanno inaugurato l’1 aprile 2001 e io sono nato nove giorni dopo. Il circolo ha una zona abitabile, con una cucina, così i miei genitori sono andati a viverci. Il cortile di casa mia erano i due campi da tennis, così stavo tutto il giorno al club e le mie zie mi hanno messo in mano la prima racchettina quando avevo nove mesi. A cinque anni ho giocato il mio primo torneo e ho perso contro Tomas Etcheverry, anche lui di La Plata. Ho perso 6-0 6-0 e sono uscito dal campo piangendo…”. Però la passione cresceva, dunque ha continuato fino a quando ha scelto di concentrarsi sul tennis perchè – da buon argentino – fino ai 10 anni di età giocava anche a calcio (è un tifoso del River Plate). “A 12 anni ho giocato i primi tornei internazionali in Sudamerica, poi ho iniziato a farmi conoscere nel secondo anno di Under 14, quando sono venuto in Europa e ho giocato alcuni eventi, raggiungendo per quattro volte la finale. E poi ho partecipato alla Davis Cup Junior. La mia carriera è iniziata così”. Negli anni della sua infanzia, tuttavia, l’Argentina era vittima di una delle crisi economiche che ciclicamente colpiscono il Paese. La sua crescita, dunque, è stata complicata. Sacrifici, rinunce, difficoltà economiche, anche perché Thiago viene da una famiglia umile. Mamma Marine fa le pulizie in un ospedale al mattino, mentre al pomeriggio lavora in una farmacia. Papà Gonzalo si divide tra una ditta di lucidatura di pavimenti e una scuola guida. “In effetti è stata dura – racconta – andavo spesso ai tornei con i nonni perché non potevo pagare un coach. Quando in accademia venivano i coach da Buenos Aires per la preparazione invernale, non potevo pagare quello che chiedevano. Tante lotte, ma anche tanta voglia. È capitato che i miei genitori rimanessero senza mangiare per comprarmi le scarpe da tennis. Io non ho mai avuto sponsor: ho preferito non firmare, perché poi è difficile restituire con gli interessi quello che ti è stato prestato. Se non mi fossero rimaste altre opzioni l’avrei fatto, ma in qualche modo sono riuscito ad andare avanti. Mio nonno, mia zia, i miei genitori mi davano i soldi per andare ai tornei. Magari andavamo in macchina e non in aereo: ci volevano 10-12 ore, ma almeno si arrivava. In questo modo ho imparato ad amministrare i soldi, poi a un certo punto è diventato tutto più facile perché non avevo alcun debito da saldare”.
DEL POTRO E IL FRATELLO DI NALBANDIAN
Numero 1 junior nel 2019, nell’occasione fu premiato dai pezzi grossi della federtennis argentina. C’è una foto che lo ritrae con una targa-premio insieme a Guillermo Coria, Franco Squillari e Mariano Zabaleta, esponenti della mitica “Legiòn”. “Sono cresciuto guardandoli in TV, ma ben presto mi sono identificato in Del Potro – dice il platense – l’ho sempre ammirato più di tutti, un po’ per il suo modo di giocare simile al mio, ma anche per gli infortuni: da ragazzino mi facevo spesso male e quindi ho vissuto dei passaggi simili ai suoi, tra stop e riabilitazioni. È il mio idolo, lo rispetto molto e per me è un esempio. Furono anni spettacolari per l’Argentina: oggi è difficile trovare un’altra Legiòn, ma adesso ci sono tanti giovani tra il numero 200 e il numero 600 ATP con tanta voglia di competere e tanta fame. Speriamo che succeda di nuovo”. A proposito di “Legiòn”, Tirante è allenato da Javier Nalbandian, fratello maggiore del mitico David. “Mi alleno anche con l’ex giocatore Daniel Pastura, i due si alternano nei viaggi. A Milano c’è Nalbandian, poi la settimana prossima torna in Argentina e arriverà Miguel – dice Tirante – il contatto è nato grazie a Eduardo Infantino, con il quale ho uno splendido rapporto. Quando ho smesso di lavorare con mia zia ed ero senza allenatore, dovevo andare a giocare alcuni tornei negli Stati Uniti. Eduardo mi disse che Javier Nalbandian era lì, invitandomi a cercarlo. Allora ho fatto due tornei con lui, mi è piaciuto il suo modo di lavorare e la sua esperienza. In quel momento avevo bisogno di qualcuno che avesse esperienza e fosse riconosciuto per quello che aveva fatto. L’anno dopo abbiamo iniziato a lavorare insieme ed è iniziato un percorso di cui siamo molto soddisfatti”. Ma il bello deve ancora venire. Thiago sarà felice soltanto quando avrà restituito ai genitori quello che hanno fatto per lui.