“Davvero ho giocato più di 500 partite da professionista?”. Giovanni Fonio è sorpreso quando gli ricordiamo che quello contro Tom Gentzsch è stato il match numero 505 della sua carriera. “Significa che è da tanto tempo che frequento i circuiti ITF e Challenger” dice il 27enne di Novara dopo aver centrato il main draw all’ASPRIA Tennis Cup – Trofeo BCS (91.450€, terra battuta). Fonio vanta una certa esperienza nel mondo Challenger, ma ogni torneo rappresenta un’occasione di svolta. E allora il 6-2 6-2 contro il tedesco ha un certo valore, perché a volte bastano un paio di tornei per girare una stagione. “È stato importante rispondere con continuità – dice Fonio – il servizio è il suo colpo migliore, quindi entrare spesso nello scambio è stato importante. A quel punto mi sentivo abbastanza in controllo. Non è facile giocare con questo caldo: ma io sono di Novara e mi alleno spesso a Milano, dunque sono abbastanza abituato. Diciamo che può essere un piccolo vantaggio rispetto ad altri”. Fonio si è presentato all’ASPRIA Harbour Club da numero 378 ATP, a un centinaio di posizioni dal best ranking (n.269) conquistato circa un anno fa.
In virtù dei numeri di cui sopra, è il momento di fare un piccolo bilancio di una carriera che non lo ha ancora posto all’attenzione del grande pubblico, nonostante abbia un tennis di rara eleganza, in grado di rapire l’occhio. “Non sono completamente soddisfatto – racconta Fonio – ed è per questo che continuo a lavorare e cercare di migliorare. Sento che il meglio deve ancora venire e per me è una grande motivazione. Ho la sensazione di poter fare di più, sia in termini di risultati che di cose da fare sul campo”. Per adesso i numeri rispecchiano abbastanza fedelmente la sua carriera. In questo momento, il suo bilancio è di zero vittorie e otto sconfitte contro i top-100 ATP, mentre è 11-28 contro quelli compresi tra la 101esima e la 200esima posizione. Quando gli chiediamo cosa manca per ribaltare il bilancio, il novarese mostra idee piuttosto chiare. “Con i top-100 può esserci un po’ di differenza, ma a livello immediatamente successivo non è così. Nella partita secca non c’è differenza tra il n.150 e il n.350: a fare la differenza sono continuità, costanza, bravura nel momento importante. Chi è piazzato meglio riesce a fare la differenza a livello mentale. Giocando tante partite contro di loro ti senti sempre più a tuo agio, trovando la fiducia nel poterli battere. La differenza non è tanto tennistica, quanto a 360 gradi. Ma sui dettagli”.
“LA MATURITÀ SI RAGGIUNGE IN ETÀ PIÙ AVANZATA”
Quello che dice Fonio è particolarmente vero nel circuito Challenger, laddove le teste di serie “saltano” con maggiore facilità e capita spesso che qualificati, wild card o addirittura lucky loser arrivino in fondo. “Tutti possono battere tutti – continua – bisogna farsi trovare pronti perché l’occasione può arrivare e bisogna coglierla. Se sei sempre ‘sul pezzo’, prima o poi la chance arriva”. La storia del tennis, tuttavia, racconta che non sono molti i giocatori a essere entrati per la prima volta tra i top-100 dopo aver superato i trent’anni (il più anziano è stato Daniel Munoz de la Nava). Poiché tanti giocatori guardano a questi esempi nella speranza di potercela fare, chiediamo a Fonio se si tratta di un aspetto positivo o che, a suo modo, può essere pericoloso. “Ho sempre pensato che ognuno abbia il suo percorso. Nel tennis ci sono vie infinite, credo non esistano due giocatori che abbiano vissuto un percorso identico. Chi ha ottenuto il meglio dopo i 30 anni è un esempio positivo: non so se sia pericoloso, ma sono certamente una fonte d’ispirazione – racconta – nel tennis, la piena maturità si raggiunge in età più avanzata rispetto al passato. Non si tratta solo della prestazione fisica, ma di mettere insieme tutti i tasselli. Per farlo ci vuole una certa maturità, dunque tra i 27 e i 30 anni è possibile effettuare il salto di qualità”. Per questo, Fonio rimane ben concentrato sul singolare senza aver pensato di dedicarsi al doppio come soluzione alternativa (“Quello del doppio è un tema molto ampio, gli specialisti si lamentano per la scarsa visibilità ma credo che sia compito dell’ATP rivoluzionare la specialità. Non ho una posizione forte sulla scelta dello US Open per il doppio misto: sarà un bello spettacolo, ma senza meritocrazia”).
Per proiettarsi nel futuro, tuttavia, si affida a un colpo vintage: il rovescio a una mano. Lui lo gioca decisamente bene, ma non è sempre stato così: “Fino a 12 anni lo giocavo a due mani – rivela – non era il mio punto forte e allora, nonostante fossi già grandicello, ho scelto questa strada seguendo la visione del mio maestro di allora. L’inizio è stato difficile, ho vissuto 2-3 anni molto complicati. Però ci ho creduto, e col tempo è diventato il mio colpo migliore. Sono contento di aver seguito questa strada”. Più in generale, tuttavia, ammette che i ritmi forsennati del tennis attuale lo rendono un colpo piuttosto difficile da giocare ad alti livelli. “Ce ne sono pochissimi, il migliore è Musetti – continua – non so se si estinguerà, ma per esperienza posso dire che ci sono pro e contro. Alle velocità attuali bisogna giocarlo veramente bene. Direi che un rovescio a due mani di medio livello consente qualcosa in più rispetto a uno a una mano di altrettanto livello. Se sei un Wawrinka o un Musetti non ci sono problemi, ma senza quella facilità è tutto più difficile”. Il suo percorso ripartirà martedì nel match contro l’olandese Max Houkes (n.3 del draw), nella speranza di continuare il percorso verso quel “meglio” che Giovanni spera di esplorare il prima possibile. “A fine carriera, la mia gioia non dipenderà dai risultati, bensì dalla consapevolezza di aver fatto tutto quello che era possibile per raggiungere il massimo del mio potenziale”. Milano è un altro tassello per riuscirci.