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Ignacio Buse, il tennista senza una tonsilla

L’affascinante storia di Ignacio Buse: lo stadio tennistico più importante del Perù è intitolato a suo nonno e suo zio, l’altro zio è uno chef di fama mondiale, lui non ha potuto fare l’università per un visto arrivato in ritardo… e l’anno scorso ha rischiato grosso per una tonsillite.

Le cose accadono per un motivo”. Ignacio Buse ha ripetuto più volte il concetto. Sebbene abbia appena 20 anni, sta sviluppando il dono della saggezza. Non poteva essere altrimenti: soltanto un anno fa si è sottoposto a una delicata operazione alle tonsille. Da solo, lontano da casa. Gli avevano trovato 18 centimetri di pus nella gola, quando è normale averne 2. Nove volte tanto. Non è stato l’unico passaggio cruciale nella vita del 20enne peruviano, ex numero 9 junior e attuale n.315 ATP. Oggi sta bene, ha appena celebrato il best ranking e si è qualificato per il tabellone principale dell’ASPRIA Tennis Cup – Trofeo BCS (74,825€, terra battuta). Al termine di un match interrotto per pioggia, ha battuto con un doppio 6-2 Riccardo Bonadio. “Non sapevo che Milano fosse il suo penultimo torneo – racconta – avevo sentito che il 2024 sarebbe stata la sua ultima stagione. È davvero un buon giocatore: quando affronti qualcuno che tira il rovescio a una mano la tattica è diversa, ma contro di lui non puoi impostare la partita pensando a qualcuno che possiede un colpo normale”. Buse è diventato famoso in Perù quattro mesi fa, quando ha vinto un clamoroso match di Coppa Davis in Cile, contro Nicolas Jarry. Non è bastato per raggiungere le Davis Cup Finals (i cileni si sono imposti all’ultimo singolare), ma ha lanciato un giocatore – anzi, un personaggio – con una grande storia da raccontare. “A Santiago ho dimostrato di possedere un gran livello. Quella vittoria mi ha dato la forza per crederci di più. Adesso so che posso stare tra i migliori. Ma devo lavorare duro per mantenerlo: l’ho raggiunto, ma devo dimostrare di poterci rimanere”. Il Perù possiede una grande tradizione e ha avuto campioni come Jaime Yzaga, Luis “Lucho” Horna (attuale capitano di Davis) e Pablo Arraya, ma oggi – per la prima volta – punta a costruire un movimento. Buse ne è entusiasta. “Giusto qualche giorno fa c’è stato il primo congresso nazionale per allenatori. È fondamentale per lo sviluppo dei più piccoli, la cui crescita dipende dai metodi di insegnamento. Attualmente la federazione è in ottime mani, col presidente Mario Monroy che è stato un giocatore di Coppa Davis, e Duilio Beretta (ex n.364 ATP, ndr) coinvolto nel settore giovanile. Io ho contribuito mandando un video emozionale ai ragazzi. Sono convinto che il Perù avrà sempre più giocatori: ci mancava la professionalità, ma non siamo inferiori agli altri. Come qualsiasi altro Paese, possiamo avere ottimi tennisti”.

CHEF MANCATO

Quando ne parla gli si illuminano gli occhi, e non potrebbe essere altrimenti. Buse è un cognome che in Perù significa moltissimo. Lo stadio in cui si giocano i match interni di Coppa Davis (“Oggi è in ristrutturazione”) si chiama “Estadio Hermanos Buse” in onore a Eduardo ed Enrique Buse, rispettivamente nonno e zio di Ignacio. “Erano ottimi giocatori in epoca dilettantistica, hanno partecipato agli Us Championships (antenati dello Us Open, ndr) perché erano la migliore coppia del Sudamerica. Per questo lo stadio è intitolato a loro, ed è lì che ho vinto il mio primo singolare in Davis. È sempre un onore giocarci, provo un sentimento speciale. Mi sarebbe piaciuto conoscere mio nonno ma i suoi valori sono arrivati tramite mio padre Hans, che è diventato un maestro di tennis. A proposito, domani arriva a Milano”. Buse è un giocatore completo, sa essere efficace su tutte le superfici… Però è diventato prima tennista, e poi professionista, un po’ per caso. Poteva fare… lo chef. “Gaston Acurio, il fratello di mia madre, è uno chef famoso in tutto il mondo. Possiede una sessantina di ristoranti in ogni continente. Non so se ne abbia uno in Italia, ma di sicuro c’è in Francia e a Dubai… dappertutto. Da piccolo era un mio punto di riferimento perché è una persona straordinaria e un grande imprenditore. Tutto nasce da mio nonno, capace di trasmettere valori rari, come l’altruismo e la cura del prossimo. I miei genitori hanno provato a fare lo stesso con me. Non ci vediamo quanto vorrei, però ci incontriamo sempre nella settimana di Natale. Sapete, in Perù il Natale è molto sentito… Una volta è anche venuto a Barcellona, dove mi alleno e risiedo”. Leggenda narra che fu proprio lo zio a sconsigliare a “Nacho” di fare il cuoco, perché è un lavoro troppo faticoso, da compromettere la qualità della vita. Meglio tirare pallate su un campo da tennis.

LA GREEN CARD ARRIVATA IN RITARDO

È stato un caso anche il suo passaggio a professionista, poiché aveva già firmato con la University of Georgia Athletics, laddove avrebbe studiato e partecipato al campionato NCAA. L’aveva scelta per la grande tradizione (lì è cresciuto John Isner) e per le referenze di coach Manny Diaz. Ma non ha mai iniziato… “Credo che non sia mai successo a nessuno quello che è capitato a me. Nel 2019 ho fatto richiesta per avere la Green Card, in modo da ottenere la residenza negli Stati Uniti. Solitamente un processo del genere richiede un anno e mezzo. Ma poi è arrivato il Covid e si è rallentato tutto. Il tempo passava… e il visto non arrivava mai. La scadenza era agosto 2023, perché ho terminato le scuole superiori nel dicembre 2022 e dovevo iniziare l’università entro nove mesi. Niente da fare, non è arrivato in tempo. È un peccato perché avevano messo in piedi una squadra che puntava a vincere il titolo NCAA. Oltre a me c’erano Alex Michelsen ed Ethan Quinn. Per un motivo o per l’altro, nessuno dei tre ho potuto esserci per questa stagione (Alex perché è entrato tra i top-100 ATP) e quindi sono stati costretti a ricorrere al recruiting. La Green Card è arrivata qualche mese fa, ma ormai era andata. Però credo che le cose accadano per un motivo. Sono rimasto in Spagna e sono contento così”. Buse si allena presso la TEC Carles Ferrer Salat, c’è uno staff che si prende cura di lui e qualche settimana fa ha avuto la possibilità di allenarsi con Denis Shapovalov.

TAGLIO IN GOLA

Un ragazzo simpatico, allegro, col potenziale per diventare un gran personaggio. Anche perché l’anno scorso ha vissuto un’avventura ai limiti del surreale. Forse non ha rischiato di morire, ma il dettaglio con cui la racconta fa capire con quale ansia l’abbia vissuta. “Mi era venuto il mal di gola. Ho preso l’antibiotico e mi è passato in tre giorni. Quattro giorni dopo mi è tornato di nuovo, così ho preso un antibiotico ancora più potente. Sperando che passasse, mi sono recato in Colombia per giocare un Challenger. Ma il venerdì sera, due giorni prima di esordire, ero arrivato al punto in cui dalla gola non passava neanche la saliva. Non riuscivo quasi a respirare. Ero da solo, così mi sono recato in taxi in una clinica… e i dottori non credevano a quello che hanno visto: si erano formati diciotto centimetri di pus, quando non dovrebbero essercene più di due. Mi hanno operato d’urgenza, ho dovuto firmare chissà quante carte, ed ero da solo. La dottoressa mi disse che poteva esserci qualche rischio perché non si sapeva quando pus ci fosse, e potevano esserci complicazioni se fosse arrivato ai polmoni. Mi hanno fatto un taglio di 12 centimetri e per fortuna è andato tutto bene. Non ho toccato racchetta per un mese, per un paio di settimane ho mangiato soltanto il gelato perché era l’unica cosa che passava… Oggi sono senza una tonsilla e questa esperienza mi ha insegnato una cosa molto importante: è meglio prevenire che lamentarsi”. La sua avventura ripartirà contro Enrico Dalla Valle, con l’obiettivo di vincere il suo primo match nel main draw di un Challenger fuori dall’Europa. Lo meriterebbe.

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