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Il giapponese con la maglia del Milan

Il giorno dopo aver acquistato la maglia di Ibrahimovic, il 19enne Shintaro Mochizuki centra per la prima volta i quarti in un Challenger, superando in tre set Gianmarco Ferrari. “Ho sempre pensato di poter battere tutti. E la superficie non è un problema”

Chi lo aveva visto vincere Wimbledon junior ne ricorda la timidezza. Da allora sono passati tre anni e Shintaro Mochizuki è decisamente cambiato. Rimane un po’ gracilino, ma l’occhio attento capisce che è un giocatore di passaggio nel circuito Challenger. D’altra parte ha scommesso su di lui un certo Kei Nishikori, che per anni gli ha fatto da chioccia presso l’IMG Academy di Bradenton, laddove si è trasferito all’età di 12 anni, persino in anticipo rispetto al celebre connazionale. Oggi Mochizuki ha 19 anni e ha acquisito una notevole autostima, necessaria per affrontare le (tante) difficoltà del circuito mondiale. Quello all’ASPRIA Tennis Cup – Trofeo BCS (45.730€, terra) è il suo primo quarto di finale in un Challenger. Arriva al momento giusto, o forse pensava di farcela prima? “Sapevo di poter giocare alla pari contro chiunque, ma di recente ho perso diversi match equilibrati, in tre set o in due combattuti – racconta il giapponese – ho sempre avuto fiducia, so che se mi esprimo al meglio e non abbasso il mio livello posso battere ottimi giocatori, o almeno avere la chance di farlo. Non è facile, ma ne sono convinto”. Lo ha detto dopo aver battuto Gianmarco Ferrari sul Centrale dell’ASPRIA Harbour Club, al termine di una lunga battaglia (6-4 4-6 6-2 lo score) in cui il toscano – generosamente sostenuto da coach Diego Nargiso – ha avuto le sue chance, soprattutto nel terzo set. Sotto 6-4 3-1, Ferrari era riuscito a girare la partita, ma sul 2-2 nel terzo ha avuto un calo d’energia, subito sfruttato da Mochizuki (n.386 ATP).

TERRA AMICA

Mi sentivo pronto per giocare questo tipo di match – ha detto il 19enne di Kawasaki – sapevo che sarebbe stata dura, avrei voluto chiudere in due set ma lui nel secondo è stato molto bravo. L’inizio del terzo set è stato duro, ma avevo grande fiducia sulla mia parte atletica. Ho fatto del mio meglio fino alla fine e questo ha pagato”. Sull’1-1, Ferrari ha vinto un eterno game al servizio (22 punti e 7 palle break annullate): sembrava il momento chiave, specie quando saliva 0-30 nel game successivo. A quel punto si spegneva la luce e con otto punti di fila Mochizuki prendeva il largo. L’ultima chance arrivava sul 4-2, con una palla break per rimettere tutto in discussione: Mochizuki la giocava da campione, accarezzando la palla con una splendida smorzata di rovescio, in salto, al termine di uno scambio prolungato: quel punto ha definitivamente tagliato le gambe a Ferrari. Gli manca ancora qualcosa sul piano muscolare e deve essere più regolare con il dritto, ma possiede qualità importanti. “Per quest’anno non ho veri obiettivi di classifica. Sarò contento se migliorerà, ma voglio concentrarmi solo sulla prossima partita. Non voglio pensare troppo al futuro, ma fare soltanto del mio meglio”. Nato in Giappone, cresciuto negli Stati Uniti e adesso di base (provvisoria) in Francia, Shintaro ha giocato 149 partite da professionista. Di queste, ben 56 sulla terra battuta. Strano, per uno con il suo background. “In questo periodo avrei dovuto essere in Inghilterra a giocare i tornei sull’erba, ma fino alla scorsa settimana ho viaggiato con un tecnico dell’accademia francese in cui mi sto allenando, allora abbiamo giocato due tornei in Francia. La terra battuta non mi dispiace: amo anche erba e cemento, ma non ho mai pensato di non poter vincere sulla terra. Ho la fiducia necessaria per poter battere anche gli specialisti. La superficie non mi crea alcuna preoccupazione”. Mochizuki è il tipico giapponese: sguardo gentile e viva cordialità, ma è molto sicuro di sé. E sembra aver assimilato al meglio il bagno di popolarità dopo il successo a Wimbledon junior, traguardo che non sempre ha portato fortuna a chi l’ha ottenuto. E in Italia ne sappiamo qualcosa.

LA STESSA ACCADEMIA DI MEDVEDEV

Gli abbiamo chiesto quanto la sua vita sia cambiata dopo quel successo. “Pretendevo di non avere troppa pressione, invece un po’ si sente – racconta – ma non perché abbia vinto Wimbledon, bensì perché ho l’intima convinzione di poter fare grandi cose, ma non è facile. Non credo che quel successo abbia cambiato molto in me, ma suppongo che a volte abbia a che fare con la pressione che mi metto addosso”. È normale averne, specie se vieni da un Paese il cui miglior tennista (Kei Nishikori) era costretto a prenotare più voli per depistare i giornalisti, o girare camuffato per le strade di Tokyo. Il Paese che, qualche anno dopo, ha prodotto la sportiva più pagata di tutte (Naomi Osaka). E allora lui si è organizzato: chiuso il rapporto con lo storico coach Natsuo Tamanaka, adesso ha un triplo sostegno. “Non ho un coach a tempo pieno, cerco di essere flessibile in base alla programmazione. La federazione giapponese prova ad aiutarmi nel migliore dei modi e li apprezzo molto, poi ho una base negli Stati Uniti e di recente mi sono avvicinato all’Elite Tennis Center di Cannes, la stessa accademia in cui lavora Daniil Medvedev. Nelle tre settimane precedenti a questa ho viaggiato con un loro coach e mi sono trovato bene. Credo che a un certo punto inizierò a viaggiare più spesso con loro, ma non avendo il visto per restare fisso in Europa devo restare flessibile. La mia base dipenderà dalla programmazione”. Con un Nishikori a fine carriera e travolto dagli infortuni, i giapponesi non vedevano l’ora di trovare un prospetto importante. Forse l’hanno trovato in questo ragazzo che gira per l’ASPRIA Harbour Club con la maglia del Milan, quella con il numero 11 di Zlatan Ibrahimovic. “Veramente non seguo il calcio – racconta, quasi imbarazzato – del Milan conosco solo Ibra. Al contrario, l’amico che è qui con me a Milano ama molto il calcio. Ha scoperto che il club è vicino allo stadio, allora ieri siamo andati allo store ufficiale del Milan e lui ha fatto acquisti. Già che c’ero, ho comprato la maglia di Ibrahimovic. Magari adesso inizierò a seguire il calcio”. Specie se Milano dovesse dargli una gioia sul campo da tennis.

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